Si legge nelle antiche cronache dei re sassanidi:
” Un tempo, il grande re Fereidun regnava su tutto l’Iran.Egli aveva tre figli: Salm, Turr ed Iraj, fra i quali divise il regno che era vasto come il mondo e ad Iraj, che era il prediletto, diede l’impero dell’Iran.Gli altri suoi fratelli, gelosi per la preferenza del padre, e desiderosi di vendetta, lo uccisero e fuggirono poi nei loro regni. Così ebbe inizio la lunga guerra di odi e di vendette che durò moltissimi anni tra i due più forti popoli dell’impero di Fereidun: gli Irani, discendenti di Irag, e i Turani, discendenti di Turr”.
Ecco perchè, col tempo, molti eroi e guerrieri si divisero, unendosi così chi ai Turani chi agli Irani per combattere valorosamente a pro dell’uno dell’altro popolo.
Ora avvenne che tra molti principi del Segestan vi fosse Sam, valorosissimo e fedele al re dell’Iran, destinato ad essere padre di un grande eroe.
Un giorno la giovane sposa di Sam mise alla luce un bellissimo bambino che però, molto stranamente, aveva i capelli bianchi come quelli degli anziani.
Spiacque ciò moltissimo al giovane eroe che credette di vedere in quel fatto un cattivo presagio, e fece portare il bimbo sulla cima di una montagna selvaggia, ordinando di abbandonarlo lassù. Ma un grand, meraviglioso uccello, chiamato Simurgh, si prese cura del piccolo e lo allevò, facendolo forte e libero.
Una notte, erano passati parecchi anni, Sam sognò che suo figlio viveva sulla montagna. Incuriosito dal sogno decise di andare a cercarlo e infatti lo trovò che stava lottando con un grosso lupo. Era forte e magnifico il ragazzo, e il principe si fece riconoscere e lo prese con sè, chiamandolo Zal.
Dopo qualche anno Zal si sposò e divenne padre del più grande degli eroi persiani , quel Rustem per il quale i poeti cantarono :” possano gli dei conservarlo sino alla fine dei secoli” !
Meravigliosa fu la vita di Rostam e straordinarie le sue avventure, tali da ispirare poeti ed artisti che con le loro opere immortalarono le gesta dell’eroe.
Il giorno della nascita di Rostam, il meraviglioso uccello che già aveva allevato Zal si posò sul palazzo reale, riempiendo di sgomento e di ammirazione tutto il popolo. Era tanto enorme che con le ali aperte copriva la reggia e parte dei giardini, e le sue penne erano scintillanti come gemme sfavillano al sole. Dopo aver tratto dal becco un acuto strido, si innalzò a volo, oscurando il sole e scomparve.
I sacerdoti, interpretando il volo dell’uccello, dissero che quello era un segno augurale per il neonato.
La madre, la bellissima Rudabeh, ne fu lieta e guardò il suo bimbo con grande amore : il pupo, con le manine, strappò i pizzi della culla, facendo così comprendere che sarebbe stato forte e potente. E anche di ciò la madre fu lieta. Erano tempi eroici.
Passarono felici e sereni gli anni dell’infanzia e venne l’adolescenza, durante la quale Rostam, ormai grande e robusto, stupì tutti per la sua forza e il suo indomito coraggio.
Un giorno si sparse la voce che nella foresta intorno alla città un cavallo straordinario, selvaggio e furioso, cavalcava spargendo terrore. Rostam andò nella foresta e attese l’animale. Quando esso arrivò, simile ad un uragano, squassando le piante, Rostam gli saltò in groppa e, tenendogli saldamente le orecchie, lo domò. Dopodichè, tranquillo, se ne rientrò in città tra lo stupore di tutto il popolo. Quel cavallo si chiamava Rakhsh e fu la causa di un’avventura terribile.
Quando Manuchehr, re dell’Iran, morì, gli succedette Nadher, suo figlio, che però non era un buon re, il popolo si sollevò. Approfittando della situazione, il re dei Turani mosse guerra contro l’Iran. Fu una guerra lunga e sanguinosa e re Nadher cadde sul campo di battaglia. Allora gli Irani chiamarono in aiuto il loro eroe Rostam, che accorse immediatamente e, trascinando i soldati con il suo valore, risollevò le sorti della guerra e scacciò i Turani oltre i confini.
Non pago, volendo vendicare la morte di re Nadher, Rostam rincorse il nemico fino alle sue terre. I Turani però si asserragliarono in una fortezza e Rostam, considerando inutile continuare in quell’avventura che già tanto sangue era costata, desistè dall’impresa, accingendosi al ritorno.
Ma distese immense e grandi boschi indussero Rostam a darsi alla caccia, e per lungo tempo inseguì un magnifico leopardo che lo trascinò lontano, in mezzo ad una radura verde e fiorita, percorsa da un fiume limpido e freschissimo. Trovandosi in un luogo tanto imprevisto Rostam, invogliato al riposo, scese da cavallo ed andò in un boschetto per una siesta. Quando si risvegliò, il meraviglioso cavallo era scomparso. Fuggito, rubato ? Mistero.
Grande fu il dolore di Rostam per quella perdita: egli si pose subito alla ricerca dell’animale ma non riuscì a trovarne traccia.
A un certo punto, dopo lungo andare, l’eroe vide, sulla cima di un alto colle, un palazzo tanto grande da sembrare una fortezza. Salì su per la china e quando fu a poca distanza dall’edificio udì un nitrito possente. Era Rakhsh.
Felicissimo Rostam si mise a correre ed in breve tempo si trovò nel cortile del palazzo. Lì vide il cavallo che scalpitava, stupendo. E vide anche che, se dall’esterno l’edificio pareva un mezzo fortilizio, dentro era splendido e raffinato, tutto marmo e oro e mosaici finemente lavorati: era la casa del principe Asfrash, che ben conosceva Rostam per aver combattuto contro di lui, sperimentandone il grande valore.
Come lo vide Asfrash esclamò:
– Salve a te Rostam, bevenuto nella mia casa! Sono lieto di avere per ospite il più grande eroe dei nostri tempi. Ti aspettavo, poichè il tuo famoso cavallo è qui. L’hanno trovato i miei servi ferito e zoppicante, e l’hanno portato qui per curarlo. Evidentemente ti è stato rubato dai predoni, perchè reca intorno al collo i segni di una corda. Ma ora entra, Rostam, e rifocillati.
Rostam, felice, entrò nel palazzo e fu ospitato con grande onore. Potè conoscere anche la figlia del principe, la bella Tahminè, che aveva sentito parlare dell’eroe e gli dimostrò una profonda ammirazione. Anche a Rostam piacque la gentile fanciulla ed il suo dolce assorto modo di ascoltare le sue vicende, tanto che la chiese in sposa.
Lusingato per tanto onore e lietissimo, Asfrash acconsentì e qualche tempo dopo, in una cornice di lusso fantasmagorico, i due giovani divennero marito e moglie. Per diversi mesi Rostam dimentico del suo paese e della sua gente, passò il tempo in delizie, ammirato ed amato come un idolo. Un giorno però disse alla sua dolce sposa:
– Bella Farideh , sento che è venuta l’ora della mia partenza per l’Iran: voglio rendermi conto di quello che avviene laggiù. Tornerò presto, perchè desidero abbracciare il figlio che nascerà. Come pegno ti lascio questo bracciale d’oro e di smeraldi: tienilo caro, poichè è il dono di un sacerdote e vale quanto un amuleto.
E ciò detto partì tra le lacrime di tutti.
Rientrato nell’Iran ed accolto con grandi feste, Rostam riprese il suo posto di capo dell’esercito e, come accade agli eroi forti ed abituati alle grandi avventure, sempre pervasi dalla smania di nuove gesta, il ricordo di Tahminè e del tempo trascorso presso il principe Asfrash si affievolì nel suo cuore.
In quel tempo era salito al trono dell’Iran il re Kaykavus, che voleva accingersi ad una strana guerra. Aveva appreso, da un poeta girovago, che al di là delle montagne orientali vi era una terra meravigliosa chiamata Mazandaran, abitata dai Devi, che là si erano rifugiati, e che vi avevano creato meraviglie di ogni genere. E siccome Kaykavus era un sovrano superbo ed orgoglioso, pensò di impadronirsi anche di quel regno e per questo partì, alla testa di un immenso esercito, verso il Mazandaran.
Rostam giudicava quella guerra un’avventura insensata e rifiutò di assumere il comando dell’esercito. Ma il re, ostinato, partì ugualmente.
Rostam aveva ragione, l’avventura era davvero insensata e l’epilogo fu tragico.
Come l’esercito iranico giunse nel Mazandaran, rimase abbagliato: le città erano di una ricchezza e di uno splendore inimmaginabili. I grandi templi d’oro, i palazzi di diaspro, i giardini favolosi… Re Kaykavus esclamò:
– Qui è realmente il regno degli dei !
E avanzò ancora.Ma il gran Devo bianco vigilava. Quando l’esercito di Kaykavus fu nel mezzo di una grande vallata contornata da alte montagne, fece uscire dalla terra una nebbia fitta e velenosa che accecò tutti, re e soldati. Fu una cosa terribile e tristissima. Quale spavento colse gli armati non è facile dire.
Vagarono per giorni e giorni riempiendo la valle di grida e lacrime. Frattanto i Devi si accingevano ad una sortita per distruggere il nemico. Ma un’ombra immensa passò per l’aria: era Simurgh, l’uccello favoloso che vide ogni cosa e portò velocemente la notizia a Rostam, affinchè il grande eroe potesse porre fine alla sofferenza di tanti uomini.
Grande fu la desolazione del vecchio Zal, padre di Rustem, quando apprese quelle tristi nuove, e disse al figlio, con la voce velata di tristezza:
– Rustem, quando il re è in pericolo, la patria stessa è in pericolo. Và quindi, aiuta Kaykavus e liberalo dal luogo dove si trova. Certamente tu puoi farlo, con l’aiuto degli dei.
Rostam obbedì e, balzando sul cavallo, raggiunse in breve tempo la valle della nebbia velenosa.
Quale spettacolo di desolazione ! Tutto l’esercito iranico disfatto vagava lamentoso, le braccia al cielo, invocando l’aiuto degli dei. Sulle cime circostanti i Devi intanto preparavano le armi per la strage. Allora Rostam ergendosi sulla sella, gridò:
-Dove sei, capo dei Devi? Hai timore? Esci e combatti contro di me davanti al mio ed al tuo popolo!
Così sfidato davanti al suo esercito, il Devo bianco uscì, armato di spada e scudo d’oro, e andò fieramente contro Rustem, galoppando sul suo bianco cavallo.
Rostam spronò il suo cavallo nero.
Dai due cavalieri dipendeva l’esito di tutta la guerra.
Lì, fra quella nebbia, i due guerrieri lottarono a lungo, perchè entrambi erano forti e valorosi, ma alla fine Rostam vinse trafiggendo il Devo bianco, capo del grande popolo di Mazandaran, che cadde tingendo di rosso l’oro della sua armatura.
Fuggirono i Devi, visto cadere il loro capo, e la nebbia, cessato l’incantesimo, si sciolse, come ingoiata di nuovo dalle viscere della terra. E di colpo Kaykavus e tutti i soldati riebbero la vista. Come si avvidero di Rostam, che, alto sul suo cavallo , attendeva, lanciarono alte grida di gioia e lo portarono in trionfo.
Il ritorno di Rostam e Kaykavus fu un’apoteosi, e tutto il popolo festante salutò l’eroe che aveva salvato il re e la patria e gli diedero l’appellativo di “prediletto dagli dei”.
Fra altre battaglie ed avventure passarono parecchi anni e intanto il figlio nato da Tahminè, che Rostam non aveva mai visto, si era fatto un magnifico giovane. Allevato dalla madre nella memoria del padre eroe, ed educato alla scuola del coraggio da nonno Asfrash, il giovane Sohrab crebbe splendidamente finchè fu inviato alla corte del re del Turan Afrasiab, che gli insegnò l’arte della guerra, poichè voleva servirsi del giovane, che sapeva figlio di un eroe, per muovere guerra contro l’Iran.
E un giorno scoppiò la grande guerra, terribile tragedia. Alla testa di un potente esercito, Sohrab partì per l’Iran, e la madre, prima che si allontanasse, gli disse:
– Figlio mio, cerca di tuo padre Rostam e fatti riconoscere mostrandogli questo bracciale.
E mise al braccio sinistro del figlio il bracciale d’oro e di smeraldi donatole da Rostam.
Dopo lunghi giorni di marcia l’esercito del Turan arrivò ai confini dell’Iran, dove era schierato l’esercito iranico in testa al quale , splendido e possente, stava Rostam. Sohrab lo vide e, comprendendo chi era il condottiero, nella sua giovanile impazienza con un grido, spronò il cavallo, desideroso di battersi.
I due eserciti si dispiegarono ad arco per assistere al duello, prima di iniziare la battaglia.
Rostam attese e, come Sohrab gli fu vicino, alzò la sua grande spada, ma il giovane fece impennare la cavalcatura e il fendente andò a colpire le zolle, sollevando polvere e scintille. Rostam non ebbe neppure il tempo di stupirsi perchè Sohrab gli fu addosso e con un colpo magistrale lo disarcionò. Un urlo immenso si levò dalla sterminata folla degli armati : per la prima volta Rostam, l’eroe delle mille avventure , trovava dinanzi a sè un rivale degno di lui. Chi era quel valoroso?
Rostam intanto, stordito e confuso, cercava di rialzarsi, ma Sohrab gli era gà sopra e gli puntava la spada alla gola.
Allora Rostam gridò:
– Chi sei mio giovane rivale?
– Sono il figlio del più grande eroe del nostro tempo e forse di tutti i tempi e, come mio padre, non ucciderò un guerriero disarmato. Alzati e riprendiamo il combattimento ad armi pari.
Quale voce, e che impeto ! Un brivido pervase tutta la persona di Rostam, che si rialzò in preda ad una grande emozione e fissò il giovane cercando di scoprirne il segreto e di capire da che cosa provenisse la sua intima e violenta agitazione.
Ma lo scudo sul braccio sinistro copriva il bracciale e Rostam non potè sapere che chi gli teneva testa era suo figlio stesso.
L’esercito iranico frattanto incitava il suo eroe con urla e agitar di stendardi.
Allora Rostam ritrovò tutto il suo orgoglio di guerriero e si buttò contro Sohrab. Un cozzar di spade, un agitar di scudi, uno svolazzar di manti……i due eroi giostrarono con terrificante coraggio ed i due eserciti schierati furono in preda al delirio e formarono come un’immane anfiteatro di urla.
Poi, fra uno scintillare tremendo di spade l’esperienza dell’anziano vinse sulla foga del giovane e Sohrab, colpito, cadde.
Rostam gli fu sopra e gridò:
– Giovane eroe, dimmi chi sei ! Chi è la madre che ti nutrì e ti crebbe forte e fiero?
Sohrab, con un fil di voce, mormorò:
– Sono Sohrab, figlio di Tahminè e di Rostam, l’eroe. Se incontri mio padre, digli che sono morto combattendo eroicamente e che ho cercato di far onore al suo nome.
Poi chiuse gli occhi e reclinò la testa. Lo scudo scivolò lungo il braccio e sulla pelle bruna scintillò, fatale e stupendo, il bracciale d’oro e di smeraldi.
Rostam rimase impietrito dall’orrore. Tutti i più dolci ricordi risorsero in lui e nella sua mente affiorarono le care frasi di Tahminè, le ore felici di ozio e di pace trascorse con il vecchio Asfrash, la promessa fatta a Tahminè di tornare presto per conoscere ed allevare il loro bambino. Attorno gli eserciti erano due muraglie di silenzio. Poi l’eroe si inginocchiò, prese il figlio tra le braccia e gridò.
– Figlio, figlio mio !
Si alzò, tese le braccia al cielo, e reggendo la giovane spoglia esamine, gridò disperato agli dei:
– Oh dei, ho ucciso mio figlio. Perchè avete voluto questo?
Camminò lungo la prateria e tutti i soldati si inginocchiarono. E Rostam depose il corpo del figlio su una catasta di scudi.
Disse:
– Irani, e voi, Turani, date una sepoltura degna a questo eroe, che come tale ha combattuto ed è morto, e poi tornate alle vostre terre. L’inutile guerra è finita: il sacrificio di Sohrab lo vuole.
Montò a cavallo, guardò il figlio, gli gettò sul petto la sua spada dopo averla spezzata in segno di dolore e di rabbia impotente, poi lanciò un urlo terribile che si ripercosse nella valle e spronò il cavallo verso le montagne, per nascondere nei profondi silenzi il suo dolore inumano.
Corse per lunghe ore, valicò le montagne, raggiunse una vetta, allargò le braccia al cielo e gridò:
– Dei, perdonatemi !
Immerse gli speroni nei fianchi del cavallo, che fece un balzo. Cavaliere e cavalcatura scomparvero in un profondo abisso.
Rostam, l’eroe generoso e grande, non era più. Di lui, ormai, avrebbero parlato le leggende.
miniatura persiana
Ferdosi, tra più venerati poeti iraniani, nacque intorno al 940 d.C. nei pressi di Tus, Iran nord-orientale. La sua composizione più conosciuta è senz’altro il “ Libro dei Re“, in persiano Shahnamè, che egli cominciò a scrivere all’età di 40 anni e terminò circa 30 anni dopo. Il poema, senza dubbio una grande opera epica, fu rifiutato dal re turco al quale venne presentato, perchè non vi si faceva alcun riferimento ai turchi. Ferdosi morì vecchio, povero e malato.
Oggi questo poeta è visto come il salvatore del farsi, lingua che egli decise di utilizzare in un periodo in cui la cultura stava subendo moltissimo l’influenza araba. Senza i suoi scritti, molti dettagli della storia e della cultura persiana sarebbero probabilmente andati persi. A Ferdosi viene inoltre riconosciuto il merito di aver dato un grande contributo alla creazione dell’identità iraniana.